#11: Non siamo ciò che facciamo!
Parlare di identità non è facile, perché riguarda una parte di noi molto profonda, forse indescrivibile!
Così, se non posso dire con esattezza ciò che sono, sento di poter dire con assoluta certezza ciò che non sono!
Molto spesso leggo o sento dire la frase: “Siamo ciò che facciamo”, “Le nostre azioni ci identificano”, e via dicendo. E su queste affermazioni poggia quella che potremmo definire l’“etica dell’azione”, che si prefigge l'obiettivo di migliorare l'essere umano intervenendo sul piano dell’agire e confinando l'identità della persona in "ciò che fa".
Ma ne siamo proprio sicuri? Vogliamo provare a mettere in discussione l’equazione “azione = identità”?
Per esempio: se fumi vieni definito un fumatore, al di là che tu voglia o meno continuare a fumare… magari vuoi smettere ma non ci riesci; se ti arrabbi ogni volta che vedi qualcuno violare il codice della strada vieni definito un iracondo… ma magari non vorresti arrabbiarti; e potremmo continuare a lungo con tali esempi.
Nella vita, tutti noi avremo almeno una volta sperimentato la distanza tra il nostro volere e quello che poi, effettivamente, riusciamo a mettere in pratica.
La distanza tra l’agire e il volere - se assumiamo la tesi che è l’azione ad identificarci - non può che creare frustazione e una sorta di schizofrenia interna: il nostro volere va una parte e le nostre azioni si muovono verso la parte opposta: dunque, io chi sono?
Io allora direi che sono le nostre “aspirazioni” a parlare di noi e per noi, e non le nostre azioni!
In questo senso potremmo dire che, ad esempio, anche se ancora fumo, “io sono una persona che ama respirare bene”; anche se ancora mi arrabbio, “io sono una persona che ama la calma”.
Le azioni ci inchiodano ai nostri limiti, spesso acquisiti per condizionamenti esterni; le nostre aspirazioni disegnano ciò che nella nostra mente e nel nostro cuore realizzerebbe la parte migliore di noi, ciò che ci farebbe stare bene e ciò che vorremmo manifestare agli altri, nel mondo.
Le nostre aspirazioni parlano delle azioni a cui diamo il nostro assenso e che manifesteremmo se solo riuscissimo a liberarci dai condizionamenti che ci portiamo dentro dalla nascita.
Le aspirazioni sono desideri che producono emozioni: “Mi emoziono al pensiero di smettere di fumare e respirare a pieni polmoni!”.
E le emozioni nascono dai pensieri …in questo caso da una riformulazione dei pensieri prodotta da noi stessi: “Anche se al liceo credevo che fumare mi avrebbe aiutato ad integrarmi nel gruppo dei miei coetanei, oggi scelgo di seguire un altro pensiero, ossia che è meglio non fumare affatto!”.
Non credete quindi anche voi che sia molto più efficace e rispondente alla nostra realtà un’“etica delle aspirazioni”?
Possiamo valutare e valutarci in base a ciò che vorremmo fare e non in base a ciò che riusciamo a fare?
Poi, certo, l’aspirazione dovrebbe diventare un obiettivo ben definito, con una strategia precisa per realizzarlo, ma intanto - nel non identificarmi con il limite che mi mostra la mia azione - ho interrotto quella battaglia interiore che non mi consente di definire con chiarezza chi sono io per me stessa!
Vi condivido una citazione tratta da San Gregorio Magno, che sembra pensarla allo stesso modo: “Perché non a ciò che sei o sei stato guarda Dio con i suoi occhi misericordiosi, ma a ciò che vorresti essere”.
Potremmo citare anche gli Stoici, che sull'arte del progredire, ossia del passare dal modo in cui agiamo a quello in cui vorremmo agire, hanno tessuto la loro disciplina.
Potremmo proseguire nella discussione chiedendoci anche se sia più profittevole portare avanti il limite, e fino a che punto, o rimanere fedeli alle nostre aspirazioni… ma rimandiamo questa riflessione a un altro post!